giovedì 27 giugno 2013

AUTORIZZATI I PERMESSI DI RICERCA GEOTERMICA NEI CASTELLI ROMANI E NEL LAZIO: PERICOLOSO 'EFFETTO GROVIERA' IN UNA REGIONE CON CRICITA' SISMICA, RADON E ARSENICO NELL'ACQUA ( di Elena Taglieri)

(Centrale geotermica-clicca per ingrandire l'immagine)
Nel florilegio di progetti presentati per la realizzazione di centrali elettriche alimentate dalle cosiddette fonti rinnovabili, stanno approdando da qualche anno anche quelli per l'utilizzo dell'energia geotermica.
Mentre al livello mondiale il primato per la produzione geotermolelettrica viene tenuto dagli USA, seguiti da Filippine, Indonesia, Messico, in Italia. attualmente le regioni con il maggiore utilizzo di energia geotermica sono il Veneto (38%), la Toscana (23%) e la Campania (10%).
Proprio la Toscana, balzata alla cronaca di questi ultimi giorni a causa del violento terremoto subìto, è storicamente nota per gli impianti geotermici (oltre 30, in particolare nel Larderello) che, con potenza di 800 MW e produzione energetica superiore a 5000 GWh, rappresentano circa un quarto dell'energia elettrica consumata nella medesima regione.
Nel Lazio sono previste soprattutto nel Viterbese, in provincia di Roma nord, interessando anche porzioni della stessa Capitale , ma anche una vasta area dei Castelli Romani .
Tutte le società proponenti hanno richiesto pareri alla Regione Lazio inoltrando istanze denominate “Permesso di ricerca di fluidi geotermici”, ottenendo (tranne alcune) l'esclusione dal procedimento di V.I.A. (la preziosa Valutazione di Impatto Ambientale), in certi casi con qualche prescrizione da osservare.
Si tratta almeno per adesso di ispezionare territori ampi ma anche circoscritti, per studiare il cosiddetto “gradiente geotermico”. Ma in realtà di cosa si tratta? L'energia geotermica deriva dal calore incamerato all'interno della crosta terrestre, che aumenta di temperatura in base alla profondità della stessa (di circa 3 gradi C° per ogni 100 metri di profondità), ed è appunto definito gradiente geotermico Questo fenomeno sotterraneo genera a sua volta un riscaldamento di acque e vapori che risalgono in superficie sottoforma di soffioni, geyser, fumarole, emissioni gassose, in modo spontaneo o venendo captati e convogliati nei pozzi geotermici. Quando il vapore raggiunge i 150°-250° viene fatto risalire artificialmente in superficie mediante trivellazioni del suolo e incanalato nelle tubazioni (vapordotti), inviato ad una turbina che trasforma il tutto in energia meccanica di rotazione. Il vapore che ne fuoriesce viene riconvertito allo stato liquido in un condensatore, mentre i gas incondensabili immersi nell'atmosfera si disperdono in essa.
L'acqua condensata viene invece utilizzata re-iniettandola all'interno dello strato roccioso da cui è stato precedentemente estratto il fluido geotermico.
 
(Fenomeno geotermico e falda acquifera- clicca sull'immagine per ingrandire)
La normativa giuridica italiana prevede che questa risorsa (sia nella fase di esplorazione che di 'coltivazione') non appartiene al proprietario dei suoli o di chi è interessato all'aspetto economico dello sfruttamento della medesima, ma è di proprietà statale, come le altre risorse minerarie. Pertanto il tutto è disposto in regime di concessione, mentre secondo il D.Lgs 31 marzo 1998 n.112 i permessi di ricerca e di coltivazione di fluidi nel sottosuolo sono delegate alle regioni: pur restando patrimonio indisponibile dello Stato, la loro gestione (canoni devoluti dai titolari dei permessi e delle concessioni, come pure i contributi per la produzione di elettricità) sono interamente devoluti alle regioni.
Viene quindi da chiedersi se esista una correlazione tra questa prolifica sventagliata di progetti (e relativi permessi approvati senza V.I.A.) nella prospettiva di probabili future centrali geotermiche a media-alta entalpia e la cronica crisi economica di budget che la nostra Regione si ritrova ad affrontare ad ogni cambio di consiliatura, fino a tutt'oggi.
Una correlazione certa, invece, sembra esistere osservando la mappa delle temperature della crosta terrestre dell'intera Europa confrontandola con quella della mappa di criticità sismica italiana, osservando particolarmente il Lazio. Inoltre, i dati preoccupanti sulla presenza di radon e arsenico nel Viterbese e specialmente nella zona dei Castelli Romani, come pure i fenomeni tellurici (seppure di contenuta entità) avvenuti nel corso degli ultimi anni e di recente, confermano quanto sia difficile e rischioso trasformare il nostro territorio regionale in una sorta di 'groviera', ben sapendo che il sottosuolo profondo può riservare impreviste e poco piacevoli sorprese, tanto più andare a stuzzicare aree a vulnerabilità idrogeologica e comunque predisposte a fenomeni di sismicità.
Ricordiamoci infatti che il vulcano Albano, seppur quiescente, viene annoverato tra i 7 vulcani attivi, secondo la comunità scientifica mondiale, INGV compreso.
Ed è proprio nel territorio dei Castelli Romani che sono stati autorizzati per il momento ben due permessi di ricerca per fluidi e risorse geotermiche, con esclusione di V.I.A., entrambi da due società distinte, ma lontane geograficamente dal nostro territorio, evidentemente ignare (?) delle criticità ambientali presenti in loco: il primo (presentato nel 2011), denominato “Moletta”, proviene dalla ITERNA Srl (una società con sede a Frosinone) che, con prot. n. 008292 del 10 gennaio 2012 ha visto confermata la ricerca per “...trovare potenziali serbatoi geotermici a media entalpia, con temperature attese di circa 120°-140° C, da sfruttare per la produzione di energia elettrica (…) unitamente allo sfruttamento dei sistemi acquiferi profondi presenti nel substrato roccioso attraversando gli acquiferi dolci più superficiali senza significative interazioni con questi ultimi e senza attivare interconnessioni fra acquiferi superficiali e acquiferi profondi”. Il progetto ricade in un'area di 15 Kmq comprendendo i comuni di Ariccia, Albano Laziale e Genzano di Roma, fino al settore meridionale del Lago di Albano e ad ovest del Lago di Nemi. Tale richiesta di verifica è stata pubblicata sul BURL N.26-parte terza- del 14 luglio 2011.
Il secondo progetto (proposto il 7 marzo 2012), denominato “Colli Albani” (o anche “Lago di Albano”), è della società TOMBELLE Srl (con sede a Lana in provincia di Bolzano), che, con determinazione N. A03582 del 24.04.2012, ha ottenuto il permesso di “...identificare i siti potenzialmente adatti per lo sfruttamento delle risorse geotermiche a medio- alta entalpia (fluidi geotermici utilizzabili a scopi industriali), perforare pozzi produttivi con profondità di circa 2000- 3000 metri, con l'obbiettivo di reperire fluidi geotermici con temperature maggiori di 100°C, sfruttare il calore del fluido e reiniettarlo raffreddato di nuovo nel sottosuolo attraverso pozzi appositi”. Il tutto in un'area di 84,6 Kmq, ubicata nel territorio compreso tra i Colli Albani e la città di Roma, nella quale i comuni interessati risultano essere Roma, Marino, Castel Gandolfo e Albano Laziale. Un territorio nel quale sono presenti aree soggette a tutela paesaggistica e due Riserve Naturali regionali (Riserva Naturale del Laurentino-Acqua Cetosa” e Riserva Naturale di Decima Malafede), lambendo anche parti limitrofe al Parco dell'Appia Antica e della Caffarella. La richiesta di verifica per questo progetto è stata pubblicata dapprima sul BURL N.13-parte III-del 7 aprile 2011 e a distanza di un anno sul BURL N.9 -parte terza- del 7 marzo 2012.
(Progetto di ricerca geotermica "Lago Albano" della TOMBELLE SRL- clicca sull'immagine per ingrandire
 Suona particolarmente inquietante la modalità con cui verrebbero intercettati i potenziali serbatoi geotermici al fine di ubicare i pozzi esplorativi: mediante prospezioni geoelettriche e di sismica a riflessione, per dettagliare le strutture geologiche e le faglie esistenti presenti nel sottosuolo, creando artificialmente 'profili sismici'.
In che maniera? ITERNA Srl, per esempio, utilizzando il 'Vibraseis', consistente in una piastra vibrante appoggiata al terreno, con cui propagare un impulso di intensità pari a 8-100Hz e di 15-20s di durata.
Analogamente TOMBELLE Srl, utilizzerebbe una fase di prospezione di tipo Magnetotellurico (MT) o di rilievo (TDEM), basato sull'induzione nel suolo di correnti elettriche, generando un conseguente campo magnetico che induce nel sottosuolo correnti parassite.Il tutto, tranquillizzano le società suddette, “...sarà scelto in modo da mantenere le distanze di sicurezza da eventuali abitazioni”, mentre “le perturbazioni attese si verificano nell'immediato sottosuolo entro una ventina di metri dal punto di eccitazione”. Eppure secondo Francesco Mulargia e Silvia Castellaro del Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna, la produzione di energia geotermica stimolata è ipotizzabile solo in zone in cui il rischio sismico è basso (Ungheria, Francia, Spagna), mentre in Italia la zona più plausibile risulta essere il Campidano, in Sardegna, “dove le temperature a 1000 metri di profondità sono di oltre 100 gradi e la sismicità è virtualmente nulla”. Gli stessi (autori della pubblicazione 'Geotermia stimolata e rischio sismico: un compromesso difficile',) sostengono, infatti, che nel momento in cui si estrae calore “creando in profondità (mediante iniezione di fluidi) un sistema di fratture attraverso le quali si fa circolare acqua fredda, estraendo acqua calda e vapore”, se ciò viene effettuato in zone sismiche può comportare l'induzione di terremoti anche di grande portata. Tale è infatti un effetto indesiderato del pompaggio d'acqua in sistemi di faglie preeesistenti, poiché “gli stress sono sempre compressivi ed hanno sulle componenti orizzontali valori rispettivamente fino a 2 volte il carico verticale in zone asismiche e sino a 4 in zone sismiche”. E “considerando che la fagliazione avviene solo per carichi di taglio, l'introduzione o la rimozione di fluidi crostali (geotermici) in generale provoca terremoti in tutte le zone in cui esiste fagliazione attiva”.
Esiste però un altro serio inconveniente legato all'individuazione di serbatoi geotermici, sia nella fase di ricerca che in quella di individuazione mediante perforazione di pozzi profondi: il fenomeno della subsidenza ,cioè il lento spostamento del livello superficiale del suolo: il fenomeno può verificarsi anche in seguito a perforazione, non solo dei pozzi superficiali (per ricercare il gradiente geotermico), ma anche dei pozzi di esplorazione e produzione (N. Graniglia, 2011)
Nel progetto di TOMBELLE Srl, (ma anche di progetti simili di altrettante società) colpisce il rassicurante ottimismo un po' ipotetico della frase “...a causa della bassa profondità del pozzetto e della presumibile impermeabilità dei terreni attraversati non si ritiene realistica la possibilità di intercettare gas geotermici (Co2, H2S)”.
Tra le prescrizioni presenti nella Determina regionale di Tombelle Srl, difatto oltre al dover rispettare la distanza di almeno 200 metri dalle abitazioni, viene menzionato di “eliminare qualsisasi richio dovuto all'emissione di gas nocivi o ad eruzioni incontrollate dal pozzo”, mentre “durante la perforazione dovrà essere garantita oltre alla protezione dall'inquinamento delle possibili falde dai possibili fanghi utilizzati,” tra cui anche “l'isolamento idraulico tra gli eventuali acquiferi attraversati”.
Dunque, la reale possibilità di contaminazione aerea e idrica non viene messa in discussione, bensì auspicata con la migliore intenzione tecnologica (ma comunque di certo non esclusa),sia nella fase di ricerca (individuazione delle risorse geotermiche) che di emungimento (specialmente nella fase industriale). Ecco quindi delinearsi un altro aspetto rischioso: la presenza nei fluidi geotermici di composti chimici tossici e letali quali il RADON, l'arsenico, mercurio e fluoro, oltre ad una minima percentuale di gas incondensabili (Biossido di carbonio e Idrogeno solforato), capaci di sprigionarsi una volta immessi nell'atmosfera e disperdersi nella falda acquifera, contaminandola, nel caso ne venissero in contatto.
Va da sé che la seconda possibilità è davvero reale se pensiamo che proprio a causa della sismicità indotta artificialmente e dal fenomeno della subsidenza, un pericolo di franamento delle faglie ed abbassamento di quelle freatiche contenenti acqua potabile, davvero non offre una prospettiva rosa, in un territorio come quello castellano e viterbese, nel quale tra l'altro ha visto aumentare vertiginosamente i livelli di arsenico nell'acqua e di altri composti tossici.
A questo punto occorre capire quanto dialoghino tra loro i vari dipartimenti della Regione Lazio e quanto questo Ente sia consapevole di emettere provvedimenti e decreti in contrasto tra loro.
In proposito conviene rammentare il D.G.R. n.785 del 31.10.2006, con cui si è ratificato il “Protocollo di intesa -quadro per la tutela del bilancio idrico degli acquiferi vulcanici e costieri” ricompresi nel territorio dell'Autorità dei Bacini regionali del Lazio (sistema acquifero dei Colli Albani, Bacino delle Acque Albule-Area Tivoli Guidonia; Tutela del lago di Bracciano e territori limitrofi-Monti Sabatini; Tutela del Lago di Bolsena e territori limitrofi-Monti Vulsini,Cimini e Vicani, Monti Lepini, Ausoni, Aurunci e aree costiere del Lazio Meridionale) ed il più recente PTQ Piano di Tutela Quantitativa del Sistema idrogeologico dei Colli Albani, del 19 marzo 2012, che costituisce una variante al Piano Regionale di Tutela delle Acque (P.T.A.). Difatto, da un parere motivato di V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica) della Regione Lazio emesso in data 7.06.2011 (prot. n. 245605), “dalle risultanze degli studi effettuati dall'Autorità dei Bacini Regionali del Lazio e dall'Autorità di Bacino del Fiume Tevere emerge che il bilancio dei sistemi idrogeologici vulcanici e in particolare dei Colli Albani risulta in varia misura alterato dai prelievi, con preoccupanti effetti sulla quantità della risorsa idrica e che l'attuale regime dei prelievi sta determinando un fenomeno di progressivo abbassamento dei livelli idrometrici del Lago di Albano e di Nemi, con grave danno ambientale”.
(Area archeologica dell'Appia Antica nel progetto di ricerca geotermica della TOMBELLE Srl- clicca sopra per ingrandire)
Un sistema idrogeologico dei Colli Albani nel quale risulta notevole l'entità degli squilibri tra disponibilità delle risorse e prelievi. Come si legge nella Relazione Tecnica allegata al PTQ, “Il letto dell'acquifero Albano è costituito dal basamento argilloso, alternato a strati metrici di sabbie marine. Questa sequenza costituisce il livello impermeabile di base per la circolazione delle acque che saturano i Colli Albani. Localmente possono essere presenti sistemi di fratture o faglie, come nelle aree limitrofe alla costa, o quelle presenti nel settore Santa Palomba o di Ciampino-Marino, che permettono la risalita dei gas e, secondo alcune ipotesi, di fluidi caldi dal basamento mesozoico. (…) Si deve considerare che al di sotto delle emergenze in alveo, per esempio lungo il Canale delle Acque Alte, in alcuni tratti del Fosso Spaccasassi, lungo il Fosso di Malafede e nell'area del Fosso dell'Obago-Fosso di San Vittorino, esistono significativi travasi sotterranei verso e dagli acquiferi adiacenti. Viene infine sottolineato che sulla base di tale documentazione, le norme di attuazione del PTQ Albani vincolano Province, Enti Locali, soggetti pubblici e privati che a qualunque titolo compiono attività da esso disciplinate.
Risulta quindi allarmante la possibilità non molto remota che in un territorio in così grave criticità la falda idrica attraversata dalle perforazioni possa venire a contatto con il serbatoio geotermico, subire ulteriori perdite ed essere inquinata dai medesimi fluidi. Incidenti possibilissimi, come del resto si è verificato nella stessa Toscana, conseguentemente all'attivazione della Centrale “Bagnore3”, quando l'acquifero è sceso al minimo storico e proporzionalmente è aumentato il massimo delle concentrazioni di arsenico (Il Cambiamento, 9 aprile 2013).
Allo stesso modo, per quanto concerne le emissioni in atmosfera dei gas incondensabili presenti nei fluidi geotermici (che contaminano ugualmente il suolo e la flora/fauna ritornandovi sottoforma di umidità e pioggia) bisogna fare i conti con analoghe norme attuative contenute nel “Piano di Risanamento della Qualità dell'Aria”, deliberato dal Consiglio Regionale del Lazio (n.66 del 10 dicembre 2009),nel quale si dichiara “...che dai risultati della qualità dell'aria, dal 2005 ad oggi emerge che nel territorio regionale permane una generale situazione di criticità, con localizzati superamenti dei valori limite per gli inquinanti PM10 e biossido di azoto “.
E' infatti riconosciuto come i vapori rilasciati nell'atmosfera interferiscano anche sulla temperatura (incrementando anche l'effetto serra), mentre le sostanze tossiche come arsenico e mercurio, seppur filtrati (ed i filtri debbono comunque essere smaltiti...), potrebbero rientrare in eventuali valori massimi stabiliti dalla Regione, magari con il solito meccanismo di aumento delle deroghe, o anche non riferibili alla tutela sanitaria e ambientale, bensì ai limiti tecnologici relativi alle “migliori tecniche disponibili”, come accaduto in Toscana (DGR.344/2010) .
Alla luce di tutto ciò, considerando che il distretto dei Castelli Romani-Monti Prenestini è ricompreso nella zona a rischio 2 di sismicità, alle Amministrazioni coinvolte in questi progetti presenti e futuri conviene seriamente riflettere sulla realistica possibilità che un 'effetto domino' di tipo tellurico o di dissesto idrogeologico giunga ad un punto di non ritorno ambientale, con inevitabili conseguenze di aggravio economico-sanitario locale, regionale e in ultimo statale.
                                                                            (elena.taglieri@gmail.com)



  



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