C'è sono
due grossi ostacoli che ritardano ed impediscono la raccolta
differenziata, auspicando la costruzione di inceneritori e discariche
come soluzione definitiva al problema rifiuti: la quantità e la
qualità delle cose di cui ci circondiamo.
La
filosofia dell'' usa e getta', quella del prodotto economico,
se fino a poco tempo fa costituiva una comoda pigrizia, ora, in tempo
di crisi, licenziamenti e precariato, di spending review,
diventa quasi un'esigenza di sopravvivenza. Ed anche in situazioni di
oculato controllo delle spese e dei bilanci personali difficilmente
si rinuncia al superfluo.
E' la
nostra abitudine ad acquistare spesso cose inutili, è questa
“Sindrome del Criceto” (il grazioso roditore
che ama riempirsi le guance di scorte alimentari) che, anche quando
maschera compensazioni di tipo psicologico, ci porta a far provviste
di ogni genere, bombardati come siamo da volantini pubblicitari delle
offerte. Il buonsenso ci fa cogliere al volo le occasioni per far
quadrare il bilancio domestico, ma è anche vero che molto
dell'approviggionamento alimentare finisce inevitabilmente nella
pattumiera perchè scade. Questo lo sanno le industrie e lo sanno i
supermercati, che con la loro strategia economica nell'essere in
continua competizione fra loro, snelliscono le loro giacenze di
magazzino altrimenti perse con gravi ripercussioni sugli utili.
Ma a noi
consumatori piace comunque questo frenetico sport delle promozioni
'3x2' e 'tutto a 1 euro', spiluccando
i vari centri commerciali come l'ape di fiore in fiore.
Altro
discorso, invece, riguarda gli oggetti che acquistiamo: accessori
vari, elettronica di consumo, mobili, tutto ciò che poi sembra
'magicamente' malfunzionare proprio quando termina il periodo della
garanzia...Ripararli costa più del ricomprarli; mancano gli
artigiani e, laddove esistono, la loro manodopera supera giustamente
il costo del prodotto nuovo di zecca, e quindi tranquillamente
scegliamo le offerte del 'sottocosto' dell'ultimo depliant
arrivatoci nella cassetta postale.
Già,
perchè esiste una sottile equazione secondo cui chi produce deve
vendere, ma non beni durevoli, altrimenti nessuno comprerebbe più
con sistematica e prevedibile frequenza, col rischio di un
conseguente accumulo della sovraproduzione. Per questo motivo c'e' la
gara sfrontata del miglior offerente e la gimcana sfrenata di
noi consumatori in continuo affanno.
L'accaparramento
di oggetti dovuto all'economicità del prodotto esiste anche e
soprattutto perchè la filiera industriale italiana è pressocchè
scarsa e carente, a differenza della realtà produttiva che ci
proviene dal Paese del Dragone Rosso.
Con il
conseguente fenomeno che si sta allargando anche nel territorio dei
Castelli Romani, dapprima a macchia di leopardo, progressivamente a
macchia d'olio: la crescita esponenziale di negozi cinesi che, per un
curioso algoritmo spuntano come funghi ed aprono alla chiusura di
precedenti esercizi commerciali nostrani i quali, un po' per
difficoltà a sostenere spese e tasse, un po'in vista del guadagno
immediato, si affrettano a vender e licenze e locali agli orientali,
con lo stesso entusiasmo di fronte ad una schedina del 'gratta e
vinci',
senza
considerare che questo
tipo di svendita è una perdita nazionale e locale, che
silenziosamente diventa una sorta di
conquista straniera territoriale ed economica, lenta e senza l'uso ed
il bisogno delle armi.
E non ci
viene di aiuto neppure la politica, giacchè abbiamo assistito già
nei precedenti governi degli ultimi vent'anni al consolidamento di
patti commerciali e delocalizzazione import-export con il
paese del Dragone Rosso, e ancor di più di recente con l' ultimo
viaggio del Presidente del Consiglio Monti in Cina, finalizzato
proprio al rafforzamento di un
ulteriore partenariato economico-commerciale.
E se il
problema 'quantità' è comunque rilevante ai fini di una corretta
gestione dei rifiuti (quanto compriamo ma anche quanto inutili e
troppi siano gli imballaggi dei prodotti) più fondamentale ancora
è la qualità di ciò che acquistiamo, nel momento
in cui andrebbe e dovrebbe virtuosamente essere eliminato.
La
merce ''Made in China', tutta rigorosamente low
cost, è in realtà uno specchietto per le allodole
sprovvedute che stentano a riconoscere la verità insita nel
proverbiale detto :“tanto costa, tanto vale”.
Così gli abiti a prezzo 'stracciato' poi diventano veri e propri
'straccetti' dopo qualche lavaggio. Ma siccome costano poco (e sono
alla moda), vengono facilmente buttati e rimpiazzati da altrettanto
abbigliamento quasi sempre sintetico.
Idem
dicasi per tutti gli altri oggetti che si rivelano mal rifiniti,
difettosi e di materiale dubbio: mollette del bucato che si
sbriciolano, pennarelli secchi e scoloriti, cacciaviti che si
piegano come fossero di burro, ombrelli tascabili che si spezzano
persino al soffio dello scirocco, penne che non scrivono, quaderni
ruvidi, grembiuli da cucina, tovaglie e presine in PVC (!)
facilmente infiammabili, bigiotteria verniciata e con presenza di
nickel; eppoi scarpe, borse, abiti e biancheria intima al 95% di
poliestere ed altre sigle praticamente derivanti dal petrolio, ed
ancora, oggettistica di plastica grezza e puzzolente, oggetti di
vetro con alta percentuale di piombo. L'elenco potrebbe continuare a
lungo. Praticamente nulla che una volta eliminato possa essere
riciclabile!
Da non
dimenticare poi le notizie quasi quotidiane su Tv e giornali che ci
raccontano di tonnellate di merce contraffatta, sequestrata dalle
Forze dell'Ordine, pronta ad essere venduta sulle bancarelle abusive
(ed evasive!) nonché a riempire gli scaffali dei negozi del Dragone
Rosso, dove abitualmente crediamo di risparmiare: ulteriore
quantità abnorme e qualità zero sommergono i vari tipi dei nostri
cassonetti
Il
grande problema del ciclo rifiuti e della raccolta differenziata sta
soprattutto nella qualità del
materiale di cui sono costituiti, per
cui qualora non potesse essere riciclabile non diverrà mai preziosa
risorsa, ma qualcosa da dover distruggere per quello che è, cioè
verrà smaltito: in
gergo tecnico lo 'smaltimento'
sta a intendere il diretto conferimento in discarica o
nell'inceneritore.
E se
non cambieranno le condizioni politiche per fermare questo fenomeno
di selvaggio libero mercato di colonizzazione economica orientale ci
ritroveremo (oltrechè poveri) con la triste eredità di notevoli
ripercussioni sul versante ambiente e sanità: inutile,
infatti, parlar tanto di biologico, ecologico, sostenibile,
rinnovabile, quamdo poi squallidamente saremo sommersi da ciarpame di
oggetti ibridi, tossici, contaminati e dalle loro esalazioni.
Se la
volontà di (non) risolvere il problema rifiuti senza discariche ed
inceneritori soprattutto nel territorio dei Castelli Romani è
direttamente proporzionale alle sciagurate scelte economico-politiche
di questo tipo di globalizzazione, sta a noi consumatori italiani e
castellani esigere il 'made in Italy' e “rispedire al
mittente” tutto ciò che non concorre alla ecosostenibilità
igienico-sanitaria del territorio.
Ma una
cosa è certa: la Terra non potrà più tollerare i veleni che noi
stessi produciamo e rammentiamo una volta per tutte che su
questo pianeta noi abitiamo in affitto.
(elena.taglieri@gmail.com)
(questo articolo è stato pubblicato su ECO16 n.31 del 10 settembre 2012)
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