(Centrale geotermica-clicca per ingrandire l'immagine) |
Nel
florilegio di progetti presentati per la realizzazione di centrali
elettriche alimentate dalle cosiddette fonti rinnovabili, stanno
approdando da qualche anno anche quelli per l'utilizzo dell'energia
geotermica.
Mentre
al livello mondiale il primato per la produzione geotermolelettrica
viene tenuto dagli USA, seguiti da Filippine, Indonesia, Messico, in
Italia. attualmente le regioni con il maggiore utilizzo di energia
geotermica sono il Veneto (38%), la Toscana (23%) e la Campania
(10%).
Proprio
la Toscana, balzata alla cronaca di questi ultimi giorni a causa del
violento terremoto subìto, è storicamente nota per gli impianti
geotermici (oltre 30, in particolare nel Larderello) che, con potenza
di 800 MW e produzione energetica superiore a 5000 GWh, rappresentano
circa un quarto dell'energia elettrica consumata nella medesima
regione.
Nel
Lazio sono previste soprattutto nel Viterbese, in provincia di Roma
nord, interessando anche porzioni della stessa Capitale , ma anche
una vasta area dei Castelli Romani .
Tutte
le società proponenti hanno richiesto pareri alla Regione Lazio
inoltrando istanze denominate “Permesso di ricerca di fluidi
geotermici”, ottenendo (tranne alcune) l'esclusione dal
procedimento di V.I.A. (la preziosa Valutazione di Impatto
Ambientale), in certi casi con qualche prescrizione da osservare.
Si
tratta almeno per adesso di ispezionare territori ampi ma anche
circoscritti, per studiare il cosiddetto “gradiente geotermico”.
Ma in realtà di cosa si tratta? L'energia geotermica deriva dal
calore incamerato all'interno della crosta terrestre, che aumenta di
temperatura in base alla profondità della stessa (di circa 3 gradi
C° per ogni 100 metri di profondità), ed è appunto definito
gradiente geotermico Questo fenomeno sotterraneo genera a sua volta
un riscaldamento di acque e vapori che risalgono in superficie
sottoforma di soffioni, geyser, fumarole, emissioni gassose, in modo
spontaneo o venendo captati e convogliati nei pozzi geotermici.
Quando il vapore raggiunge i 150°-250° viene fatto risalire
artificialmente in superficie mediante trivellazioni del suolo e
incanalato nelle tubazioni (vapordotti), inviato ad una turbina che
trasforma il tutto in energia meccanica di rotazione. Il vapore che
ne fuoriesce viene riconvertito allo stato liquido in un
condensatore, mentre i gas incondensabili immersi nell'atmosfera si
disperdono in essa.
L'acqua
condensata viene invece utilizzata re-iniettandola all'interno dello
strato roccioso da cui è stato precedentemente estratto il fluido
geotermico.
La
normativa giuridica italiana prevede che questa risorsa (sia nella
fase di esplorazione che di 'coltivazione') non appartiene al
proprietario dei suoli o di chi è interessato all'aspetto economico
dello sfruttamento della medesima, ma è di proprietà statale, come
le altre risorse minerarie. Pertanto il tutto è disposto in regime
di concessione, mentre secondo il D.Lgs 31 marzo 1998 n.112 i
permessi di ricerca e di coltivazione di fluidi nel sottosuolo sono
delegate alle regioni: pur restando patrimonio indisponibile dello
Stato, la loro gestione (canoni devoluti dai titolari dei permessi e
delle concessioni, come pure i contributi per la produzione di
elettricità) sono interamente devoluti alle regioni.
Viene
quindi da chiedersi se esista una correlazione tra questa prolifica
sventagliata di progetti (e relativi permessi approvati senza V.I.A.)
nella prospettiva di probabili future centrali geotermiche a
media-alta entalpia e la cronica crisi economica di budget che la
nostra Regione si ritrova ad affrontare ad ogni cambio di
consiliatura, fino a tutt'oggi.
Una
correlazione certa, invece, sembra esistere osservando la mappa delle
temperature della crosta terrestre dell'intera Europa confrontandola
con quella della mappa di criticità sismica italiana, osservando
particolarmente il Lazio. Inoltre, i dati preoccupanti sulla presenza
di radon e arsenico nel Viterbese e specialmente nella zona dei
Castelli Romani, come pure i fenomeni tellurici (seppure di contenuta
entità) avvenuti nel corso degli ultimi anni e di recente,
confermano quanto sia difficile e rischioso trasformare il nostro
territorio regionale in una sorta di 'groviera', ben sapendo che il
sottosuolo profondo può riservare impreviste e poco piacevoli
sorprese, tanto più andare a stuzzicare aree a vulnerabilità
idrogeologica e comunque predisposte a fenomeni di sismicità.
Ricordiamoci
infatti che il vulcano Albano, seppur quiescente, viene annoverato
tra i 7 vulcani attivi, secondo la comunità scientifica mondiale,
INGV compreso.
Ed
è proprio nel territorio dei Castelli Romani che sono stati
autorizzati per il momento ben due permessi di ricerca per fluidi e
risorse geotermiche, con esclusione di V.I.A., entrambi da due
società distinte, ma lontane geograficamente dal nostro territorio,
evidentemente ignare (?) delle criticità ambientali presenti in
loco: il primo (presentato nel 2011), denominato “Moletta”,
proviene dalla ITERNA Srl
(una società con sede a Frosinone) che, con prot. n. 008292 del 10
gennaio 2012 ha visto confermata la ricerca per “...trovare
potenziali serbatoi geotermici a media entalpia, con temperature
attese di circa 120°-140° C, da sfruttare per la produzione di
energia elettrica (…) unitamente allo sfruttamento dei sistemi
acquiferi profondi presenti nel substrato roccioso attraversando gli
acquiferi dolci più superficiali senza significative interazioni con
questi ultimi e senza attivare interconnessioni fra acquiferi
superficiali e acquiferi profondi”.
Il progetto ricade in un'area di 15 Kmq comprendendo i comuni di
Ariccia,
Albano Laziale
e Genzano di Roma,
fino al settore meridionale del Lago
di Albano e ad ovest del
Lago di Nemi.
Tale richiesta di verifica è stata pubblicata sul BURL N.26-parte
terza- del 14 luglio 2011.
Il
secondo progetto (proposto il 7 marzo 2012), denominato “Colli
Albani” (o anche “Lago di Albano”), è della società TOMBELLE
Srl (con sede a Lana in
provincia di Bolzano), che, con determinazione N. A03582 del
24.04.2012, ha ottenuto il permesso di “...identificare
i siti potenzialmente adatti per lo sfruttamento delle risorse
geotermiche a medio- alta entalpia (fluidi geotermici utilizzabili a
scopi industriali), perforare pozzi produttivi con profondità di
circa 2000- 3000 metri, con l'obbiettivo di reperire fluidi
geotermici con temperature maggiori di 100°C, sfruttare il calore
del fluido e reiniettarlo raffreddato di nuovo nel sottosuolo
attraverso pozzi appositi”.
Il tutto in un'area di 84,6 Kmq, ubicata nel territorio compreso tra
i Colli Albani e la città di Roma,
nella quale i comuni interessati risultano essere Roma,
Marino,
Castel Gandolfo
e Albano
Laziale.
Un territorio nel quale sono presenti aree soggette a tutela
paesaggistica e due Riserve Naturali regionali (Riserva Naturale del
Laurentino-Acqua Cetosa” e Riserva Naturale di Decima Malafede),
lambendo anche parti limitrofe al Parco dell'Appia Antica e della
Caffarella. La richiesta di verifica per questo progetto è stata
pubblicata dapprima sul BURL N.13-parte III-del 7 aprile 2011 e a
distanza di un anno sul BURL N.9 -parte terza- del 7 marzo 2012.
(Progetto di ricerca geotermica "Lago Albano" della TOMBELLE SRL- clicca sull'immagine per ingrandire |
Suona
particolarmente inquietante la modalità con cui verrebbero
intercettati i potenziali serbatoi geotermici al fine di ubicare i
pozzi esplorativi: mediante prospezioni
geoelettriche e di sismica a riflessione,
per dettagliare le strutture geologiche e le faglie esistenti
presenti nel sottosuolo, creando artificialmente 'profili sismici'.
In
che maniera? ITERNA Srl, per esempio, utilizzando il 'Vibraseis',
consistente in una piastra vibrante appoggiata al terreno, con cui
propagare un impulso di intensità pari a 8-100Hz e di 15-20s di
durata.
Analogamente
TOMBELLE Srl, utilizzerebbe una fase di prospezione di tipo
Magnetotellurico (MT) o di rilievo (TDEM), basato sull'induzione
nel suolo di correnti elettriche, generando un conseguente campo
magnetico che induce nel sottosuolo correnti parassite.Il
tutto, tranquillizzano le società suddette, “...sarà
scelto in modo da mantenere le distanze di sicurezza da eventuali
abitazioni”, mentre “le
perturbazioni attese si verificano nell'immediato sottosuolo entro
una ventina di metri dal punto di eccitazione”.
Eppure secondo Francesco Mulargia e Silvia Castellaro del
Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna,
la produzione di energia geotermica stimolata è ipotizzabile solo
in zone in cui il rischio sismico è basso (Ungheria,
Francia, Spagna), mentre in
Italia la zona più plausibile risulta essere il Campidano, in
Sardegna, “dove
le temperature a 1000 metri di profondità sono di oltre 100 gradi e
la sismicità è
virtualmente nulla”.
Gli stessi (autori della pubblicazione 'Geotermia stimolata e
rischio sismico: un compromesso difficile',) sostengono, infatti, che
nel momento in cui si estrae calore “creando
in profondità (mediante
iniezione di fluidi) un
sistema di fratture attraverso le quali si fa circolare acqua fredda,
estraendo acqua calda e vapore”,
se ciò viene effettuato in zone sismiche può comportare l'induzione
di terremoti anche di
grande portata. Tale è
infatti un effetto indesiderato del pompaggio d'acqua in sistemi di
faglie preeesistenti, poiché “gli
stress sono sempre compressivi ed hanno sulle componenti orizzontali
valori rispettivamente fino a 2 volte il carico verticale in zone
asismiche e sino a 4 in zone sismiche”.
E “considerando che la
fagliazione avviene solo per carichi di taglio, l'introduzione o la
rimozione di fluidi crostali (geotermici) in generale provoca
terremoti in tutte le zone in cui esiste fagliazione attiva”.
Esiste
però un altro serio inconveniente legato all'individuazione di
serbatoi geotermici, sia nella fase di ricerca che in quella di
individuazione mediante perforazione di pozzi profondi: il fenomeno
della subsidenza ,cioè
il lento spostamento del livello superficiale del suolo: il fenomeno
può verificarsi anche in seguito a perforazione, non solo dei pozzi
superficiali (per ricercare il gradiente geotermico), ma anche dei
pozzi di esplorazione e produzione (N. Graniglia, 2011)
Nel
progetto di TOMBELLE Srl, (ma anche di progetti simili di altrettante
società) colpisce il rassicurante ottimismo un po' ipotetico della
frase “...a causa della
bassa profondità del pozzetto e della presumibile impermeabilità
dei terreni attraversati non si ritiene realistica la possibilità di
intercettare gas
geotermici (Co2,
H2S)”.
Tra
le prescrizioni presenti nella Determina regionale di Tombelle Srl,
difatto oltre al dover rispettare la distanza di almeno 200 metri
dalle abitazioni, viene menzionato di “eliminare
qualsisasi richio dovuto all'emissione di gas nocivi o ad eruzioni
incontrollate dal pozzo”,
mentre “durante la
perforazione dovrà essere garantita oltre alla protezione
dall'inquinamento delle possibili falde dai possibili fanghi
utilizzati,” tra cui
anche “l'isolamento
idraulico tra gli eventuali acquiferi attraversati”.
Dunque,
la reale possibilità di contaminazione aerea e idrica non viene
messa in discussione, bensì auspicata con la migliore intenzione
tecnologica (ma comunque di certo non esclusa),sia nella fase di
ricerca (individuazione delle risorse geotermiche) che di emungimento
(specialmente nella fase industriale). Ecco quindi delinearsi un
altro aspetto rischioso:
la presenza nei fluidi geotermici di composti chimici tossici e
letali quali il RADON,
l'arsenico,
mercurio e fluoro, oltre ad una minima percentuale di gas
incondensabili (Biossido
di carbonio e Idrogeno
solforato), capaci di
sprigionarsi una volta immessi nell'atmosfera e disperdersi nella
falda acquifera, contaminandola, nel caso ne venissero in contatto.
Va
da sé che la seconda possibilità è davvero reale se pensiamo che
proprio a causa della sismicità
indotta artificialmente
e dal fenomeno della subsidenza,
un pericolo di franamento
delle faglie ed abbassamento di quelle freatiche contenenti acqua
potabile, davvero non
offre una prospettiva rosa, in un territorio come quello castellano e
viterbese, nel quale tra l'altro ha visto aumentare vertiginosamente
i livelli di arsenico nell'acqua e di altri composti tossici.
A
questo punto occorre capire quanto dialoghino tra loro i vari
dipartimenti della Regione Lazio e quanto questo Ente sia consapevole
di emettere provvedimenti e decreti in contrasto tra loro.
In
proposito conviene rammentare il D.G.R. n.785 del 31.10.2006, con cui
si è ratificato il “Protocollo
di intesa -quadro per la tutela del bilancio idrico degli acquiferi
vulcanici e costieri”
ricompresi nel territorio dell'Autorità dei Bacini regionali del
Lazio (sistema acquifero dei Colli Albani, Bacino delle Acque
Albule-Area Tivoli Guidonia; Tutela del lago di Bracciano e territori
limitrofi-Monti Sabatini; Tutela del Lago di Bolsena e territori
limitrofi-Monti Vulsini,Cimini e Vicani, Monti Lepini, Ausoni,
Aurunci e aree costiere del Lazio Meridionale) ed il più recente PTQ
Piano di Tutela Quantitativa del Sistema idrogeologico dei Colli
Albani, del
19 marzo 2012, che costituisce una variante al Piano Regionale di
Tutela delle Acque (P.T.A.).
Difatto, da un parere motivato di V.A.S. (Valutazione Ambientale
Strategica) della Regione Lazio emesso in data 7.06.2011 (prot. n.
245605), “dalle
risultanze degli studi effettuati dall'Autorità dei Bacini Regionali
del Lazio e dall'Autorità di Bacino del Fiume Tevere
emerge
che il bilancio dei sistemi idrogeologici vulcanici e
in particolare dei Colli Albani risulta in varia misura alterato dai
prelievi, con
preoccupanti effetti sulla quantità della risorsa idrica
e che l'attuale regime dei prelievi sta determinando un fenomeno di
progressivo abbassamento dei livelli idrometrici del Lago di Albano e
di Nemi, con grave
danno ambientale”.
(Area archeologica dell'Appia Antica nel progetto di ricerca geotermica della TOMBELLE Srl- clicca sopra per ingrandire) |
Un
sistema idrogeologico dei Colli Albani nel quale risulta notevole
l'entità degli squilibri tra disponibilità delle risorse e
prelievi. Come si legge nella Relazione Tecnica allegata al PTQ, “Il
letto dell'acquifero Albano è costituito dal basamento argilloso,
alternato a strati metrici di sabbie marine. Questa sequenza
costituisce il livello impermeabile di base per la circolazione delle
acque che saturano i Colli Albani. Localmente possono
essere presenti sistemi di fratture o faglie, come nelle aree
limitrofe alla costa, o quelle presenti nel settore Santa Palomba o
di Ciampino-Marino, che permettono la risalita dei gas
e, secondo alcune ipotesi, di fluidi caldi dal basamento mesozoico.
(…) Si deve considerare che al di sotto delle emergenze in alveo,
per esempio lungo il Canale delle Acque Alte, in alcuni tratti del
Fosso Spaccasassi, lungo il Fosso di Malafede e nell'area del Fosso
dell'Obago-Fosso di San Vittorino, esistono
significativi travasi sotterranei verso e dagli acquiferi adiacenti”.
Viene infine sottolineato che sulla base di tale documentazione,
le norme di attuazione del PTQ Albani vincolano Province, Enti
Locali, soggetti pubblici e privati che a qualunque titolo compiono
attività da esso disciplinate.
Risulta
quindi allarmante la possibilità non molto remota che in un
territorio in così grave criticità la falda
idrica attraversata dalle perforazioni
possa venire a contatto con il serbatoio geotermico, subire
ulteriori perdite
ed essere inquinata
dai medesimi fluidi.
Incidenti possibilissimi, come del resto si è verificato nella
stessa Toscana, conseguentemente all'attivazione della Centrale
“Bagnore3”, quando l'acquifero è sceso al minimo storico e
proporzionalmente è aumentato il massimo delle concentrazioni di
arsenico (Il Cambiamento, 9 aprile 2013).
Allo
stesso modo, per quanto concerne le emissioni in atmosfera dei gas
incondensabili presenti nei fluidi geotermici (che contaminano
ugualmente il suolo e la flora/fauna ritornandovi sottoforma di
umidità e pioggia) bisogna fare i conti con analoghe norme attuative
contenute nel “Piano di
Risanamento della Qualità dell'Aria”,
deliberato dal Consiglio Regionale del Lazio (n.66 del 10 dicembre
2009),nel quale si dichiara “...che
dai risultati della qualità dell'aria, dal 2005 ad oggi emerge che
nel territorio
regionale permane una generale situazione di criticità,
con localizzati superamenti dei valori limite per gli inquinanti PM10
e biossido di azoto “.
E'
infatti riconosciuto come i vapori rilasciati nell'atmosfera
interferiscano anche sulla temperatura (incrementando anche l'effetto
serra), mentre le sostanze tossiche come arsenico e mercurio, seppur
filtrati (ed i filtri debbono comunque essere smaltiti...),
potrebbero rientrare in eventuali valori massimi stabiliti dalla
Regione, magari con il solito meccanismo di aumento delle deroghe, o
anche non riferibili alla tutela sanitaria e ambientale, bensì ai
limiti tecnologici relativi alle “migliori tecniche disponibili”,
come accaduto in Toscana (DGR.344/2010) .
Alla
luce di tutto ciò, considerando che il distretto dei Castelli
Romani-Monti Prenestini è ricompreso nella zona a rischio 2 di
sismicità, alle Amministrazioni coinvolte in questi progetti
presenti e futuri conviene seriamente riflettere sulla realistica
possibilità che un 'effetto domino' di tipo tellurico o di dissesto
idrogeologico giunga ad un punto di non ritorno ambientale, con
inevitabili conseguenze di aggravio economico-sanitario locale,
regionale e in ultimo statale.
(elena.taglieri@gmail.com)
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